Caso degli emoderivati infetti

Il caso degli emoderivati infetti è un caso giudiziario causato dalla messa in commercio, a partire dagli anni settanta, di emoderivati infettati dai virus delle epatiti virali (HBV e HCV) e dell'HIV, prodotti da plasma raccolto da individui ad alto rischio infettivo come detenuti, tossicodipendenti e persone con comportamenti sessuali a rischio.

I principali contagiati sono stati soggetti emofilici, che necessitano di infusioni di fattori della coagulazione (fattore VIII e fattore IX).

Le imprese farmaceutiche coinvolte includevano l'Alpha Therapeutic Corporation, l'Institut Mérieux (ora parte della Sanofi), la Bayer e la sua divisione Cutter Biological, la Baxter International e la sua divisione Hyland Pharmaceutical.[1][2] In Italia, furono sottoposte a indagini il direttore generale del Ministero della Sanità Duilio Poggiolini ed alcune aziende del gruppo Marcucci; il processo penale si è concluso con l'assoluzione di tutti gli imputati.[3]

Un caso simile fu quello del sangue infetto, sviluppatosi in contemporanea.

  1. ^ (EN) Barry Meier, Blood, Money and AIDS: Hemophiliacs Are Split; Liability Cases Bogged Down in Disputes, in The New York Times, 11 giugno 1996 (archiviato dall'url originale il 17 luglio 2018).
  2. ^ (EN) Bayer Documents: AIDS Tainted Blood Killed Thousands of Hemophiliacs, su Alliance for Human Research Protection, 22 maggio 2003 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2019).
  3. ^ Dario Del Porto, Morti da emoderivati, assolti Poggiolini e altri otto imputati, in La Repubblica, 25 marzo 2019 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2019).

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